L’Ufficio economico collabora con l’Ufficio dell’Addetto agroalimentare dell’Ambasciata realizzando attività finalizzate alla promozione delle esportazioni e tutela dei prodotti agroalimentari, monitoraggio della normativa locale, azioni di sostegno al collegamento tra istituzioni, produzione e università sulle questioni relative alla politica agricola, sicurezza alimentare e sostenibilità.
IL SETTORE AGROALIMENTARE NEL REGNO UNITO
OUTLOOK 2022 (Leggi QUI il rapporto completo)
- Molti fattori esogeni hanno condizionato la performance del settore agroalimentare nel corso del 2022, in un Paese ancora alle prese con gli effetti dirompenti della pandemia da COVID-19.
- Nei primi mesi dell’anno, i costi crescenti delle materie prime energetiche, la penuria di fertilizzanti e le difficoltà di approvvigionamento sui mercati internazionali, dovute al conflitto in Ucraina, hanno determinato una forte volatilità dei prezzi, sia dei fattori di produzione che delle principali commodities (soprattutto cereali e semi oleosi), oltre alla riduzione dei volumi di produzione in alcuni casi. L’aumento dei prezzi delle principali commodities agricole ha contribuito a determinare la crisi del costo della vita, che tuttora affligge il Regno Unito.
- La filiera è ancora fortemente penalizzata dalla scarsità di manodopera, da attribuire sia agli effetti della pandemia che alla Brexit, e all’aumento del costo del lavoro, che l’ONS ha stimato in un +10%, come media del 2022.
- Inoltre, gli operatori agricoli lamentano un clima di incertezza dovuto ai cambiamenti normativi in corso nel Regno Unito da cui deriva anche un quadro in evoluzione del livello e della tipologia degli aiuti finanziari pubblici, su cui orientare le scelte produttive e aziendali.
PRODUZIONE AGRICOLA
Il settore agricolo contribuisce per lo 0,6%[1] al prodotto interno lordo del Regno Unito, produce circa il 60% del cibo consumato ed impiega quasi mezzo milione di persone.
Il reddito proveniente dall’attività agricola ha mostrato nel 2022 un incremento del 17%, rispetto al 2021, grazie ad una crescita consistente dei listini dei principali prodotti agricoli che ha ampiamente compensato gli aumenti dei fattori di produzione. In particolare, i listini medi del frumento hanno segnato un +35%, a causa della crisi globale del mercato dei cereali per la guerra in Ucraina.
L’allevamento di bovini da latte è il più importante in termini di valore della produzione, con un’incidenza del 19% sull’output di tutto il settore agricolo, seguono le coltivazioni cerealicole (17%), segnatamente frumento e orzo, l’allevamento di bovini da carne (10%) e le coltivazioni ortive/floricole (9%), l’allevamento avicolo (9%), ovino (5%), suino (5%) e le colture industriali, quali colza, barbabietola da zucchero e colture proteiche.
Nell’anno considerato, la spesa per consumi intermedi ha segnato un aumento del 19% su base annua, imputabile soprattutto all’aumento dei prezzi dei fertilizzanti e degli input energetici.
Le aziende agricole sono 191 mila, con una superficie media aziendale pari ad 89 ettari. La forza lavoro impiegata in agricoltura è pari a circa 471 mila unità nel 2022, ad esclusione dei lavoratori stagionali. Tutta la filiera, from farm to fork, nel Regno Unito occupa circa 4 milioni di persone, pari al 13% del numero di occupati totali.
TRASFORMAZIONE INDUSTRIALE
L’industria alimentare e delle bevande è il più grande settore manifatturiero del Regno Unito. Nel 2022, il fatturato è stato di 128 miliardi di sterline, con un aumento del 14% rispetto all’anno precedente. Il settore agroalimentare nel suo complesso (agricoltura, industria, distribuzione e ristorazione) contribuisce per il 6% al valore aggiunto lordo nazionale, con 127 miliardi di sterline.
Il 2022 ha posto molte sfide anche all’industria alimentare e delle bevande: problemi nella catena di approvvigionamento, carenza di manodopera, minacce alla sicurezza energetica, aumento dei prezzi globali per l’energia, particolarmente per petrolio e gas naturale, hanno causato la crescita dei costi di produzione e distribuzione di alimenti e bevande. Tutto ciò si è tradotto in una forte spinta inflazionistica da parte del settore alimenti e bevande, che ha fatto registrare aumenti dei prezzi consistenti nel corso del 2022, fino a chiudere a dicembre con un +17%, su base annua.
In tale contesto, l’industria alimentare britannica è rimasta, tuttavia, fortemente motivata a raggiungere gli obiettivi di crescita sostenibile, net zero entro il 2050, abbattere l’impronta di carbonio, migliorare la riciclabilità degli imballaggi, ridurre gli sprechi alimentari lungo la filiera.
DISTRIBUZIONE E CONSUMI
La spesa totale delle famiglie per alimenti e bevande è pari a 281 miliardi di sterline, con un incremento del 14% a prezzi correnti, rispetto al 2021. La spesa dei consumi extra domestici ha segnato un aumento su base annua del 22%, mentre i consumi domestici sono diminuiti del 5%.
Il settore retail è fortemente concentrato intorno a pochi gruppi della grande distribuzione: i cosiddetti Big Four, ossia Tesco, Sainsbury’s, Asda e Morrisons rappresentano insieme i 2/3 del mercato, seguiti a distanza da Aldi, Lidl, Co-op e Waitrose. Per fronteggiare la forte inflazione, i principali gruppi della distribuzione organizzata hanno adottato varie strategie per calmierare i prezzi.
Il settore della ristorazione, gravemente penalizzato nel corso della pandemia e dalle relative restrizioni, ha segnato nel 2022, un aumento del 6% del numero di esercizi attivi e del 3% del numero di occupati.
COMMERCIO ESTERO
Il Regno unito è strutturalmente un importatore netto di prodotti agroalimentari. La bilancia commerciale per i prodotti agroalimentari, bevande e tabacco mostra un deficit di 32 miliardi di sterline nel 2022, con un deterioramento del 30% rispetto al 2021.
Il Paese ha un tasso medio di autoapprovvigionamento alimentare del 60%, variabile da un minimo del 17% per la frutta fresca, intorno al 55% per gli ortaggi freschi, tassi alti, prossimi all’autosufficienza per i cereali, le carni bovine e le carni avicole, addirittura superiori per le carni ovine ed il latte.
Il valore delle esportazioni di alimenti e bevande è stato nel 2022 di oltre 25 miliardi di sterline, con un incremento del 22% rispetto all’anno precedente. L’incremento dell’export in valore è viziato dall’alto tasso di inflazione, tuttavia, anche i volumi hanno segnato crescite consistenti per i principali prodotti esportati, ad eccezione delle carni (-4%), prodotti ittici (-5%) ed oli e grassi, sia animali che vegetali (-3%). Il 55% delle esportazioni è rivolto al mercato dell’Unione Europea. Il principale partner commerciale del Regno Unito, dal lato dell’export, è l’Irlanda, con una quota in valore del 16%, seguita da Francia (11%) e Stati Uniti (10%), mentre l’Italia si colloca in decima posizione, con una quota prossima al 2% del totale.
Considerando il mercato UE nel suo complesso, il Regno Unito rappresenta il secondo fornitore di prodotti agroalimentari (15 mld €, pari al 9%), dopo il Brasile e seguito da Ucraina, USA e Cina.
Il prodotto più esportato dal Regno Unito è, in valore, il whisky, seguito da cioccolata, formaggi, gin, salmone, carne bovina, carne suina, vino e cereali da colazione.
Dal lato dell’import del Regno Unito, tutto l’aggregato agroalimentare, bevande e tabacco, ha fatto registrare un incremento del 26% nel 2022, rispetto all’anno precedente, attestandosi su 58 miliardi di sterline.
L’Unione Europea è il principale fornitore di prodotti agri-food, con una quota del 71% seguita, a distanza, da USA, Cina, Brasile, Tailandia e Sud Africa. Il Regno Unito rappresenta il principale mercato di sbocco per il blocco dei 28 paesi membri, seguito dagli Stati Uniti. I Paesi Bassi sono il principale fornitore del Regno Unito, con una quota del 13%, seguiti da Francia (10%), Irlanda (9%), Belgio, Spagna e Germania (ciascuno intorno al 7%) e Italia, in settima posizione, che copre oltre il 6% dell’import britannico.
L’aumento dei prezzi e la debolezza della sterlina hanno contribuito a far crescere il costo delle importazioni, costituendo, in un circolo vizioso, un ulteriore fattore di spinta al rialzo dell’inflazione nel Regno Unito.
Il consistente aumento dei prezzi registrato nel periodo in esame nasconde, in realtà, molti decrementi dei flussi fisici di importazione. Si osserva, infatti, una diminuzione per alcuni prodotti come cereali e derivati (-2%), mangimi (-7%), olio di oliva (-19%), prodotti lattiero caseari (-6%) e prodotti ittici (-5%).
L’Italia ha esportato verso il Regno Unito 3,7 miliardi di sterline di prodotti agro-alimentari, bevande e tabacco nel 2022, facendo registrare un aumento del 21%, rispetto all’anno precedente.
L’Italia è il primo fornitore del Regno Unito di pomodori freschi e trasformati, sia in valore che in volume, seguita da Paesi Bassi, Spagna, Marocco e Portogallo. L’Italia è ancora primo fornitore assoluto per la pasta, garantendo il 58% degli approvvigionamenti del Regno Unito in volume ed il 46% in valore. L’Italia assicura circa il 20% degli approvvigionamenti di vino, sia in volume che in valore, collocandosi, rispettivamente, in prima e seconda posizione. Tuttavia, si registra un calo dei volumi spediti nel 2022 rispetto al 2021, sia pure a fronte di un incremento dei listini medi che fa registrare un aumento dell’export in valore del 24% su base annua. Primo esportatore in valore anche per i formaggi, seguita da Francia, Irlanda e Belgio. Guardando ai volumi dell’export di prodotti caseari, il ranking vede l’Italia balzare in quarta posizione, dopo la Francia. Per la categoria degli oli di oliva, l’Italia segue la Spagna, collocandosi in seconda posizione, sia in valore che in volume, mostrando anche un incremento nell’ultimo anno, rispettivamente del 33% e del 9%. Per le forniture in volume di ortofrutticoli, freschi e trasformati, l’Italia si colloca in quarta posizione, dopo Spagna, Paesi Bassi e Belgio.
Il primo quadrimestre del 2023 conferma la tendenza all’aumento delle esportazioni italiane di prodotti agroalimentari verso il Regno Unito, con un +8% rispetto allo stesso periodo del 2022, in linea con il trend complessivo delle importazioni del Paese. Migliore la performance dei principali competitor, con tassi di incremento a due cifre per Paesi Bassi (+13%), Francia (+12%), Spagna (+13%) e Belgio (+18%).
[1] Valore aggiunto lordo a prezzi base